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IL TELEFONINO, POTENZIALE TRAGEDIA DELLA NUOVA GENERAZIONE

IL TELEFONINO, POTENZIALE TRAGEDIA DELLA NUOVA GENERAZIONE

E’ uscito in questi giorni in Italia il libro “La generazione ansiosa” (editore Rizzoli, euro 20,90) di Jonathan Haidt, celebre neuropsicologo, professore alla New York University, del quale si cita spesso con grande rispetto il libro precedente, “Menti tribali”, che illustra le ragioni evoluzionistiche di molti nostri atteggiamenti mentali. Oggi vorrei segnalare un aspetto dei suoi studi, che ci riguarda tutti e specialmente quelli di noi che hanno a che fare con i giovanissimi (la Generazione Z, cioè i nati dopo il 1996) in qualità di genitori, nonni (i miei coetanei) o insegnanti. Perciò vi presento la traduzione parziale di un articolo comparso l’8 agosto di quest’anno sul sito di Haidt After Babel e scritto proprio da una giovane giornalista di Generazione Z. L’articolo mi aveva colpito e oggi, anche in vista dell’uscita del libro di Haidt citato sopra, mi pare utile parlarne qui sul mio sito. L’articolo si riferisce a un fenomeno chiamato FOMO, ben noto agli psicologi. L’acronimo sta per Fear Of Missing Out (paura di perdere qualcosa, di restare tagliato fuori) che tiene molti giovani, e anche non giovani, attaccati al cellulare e pronti a scattare a ogni suono di notifica che ne esca, perché potrebbe annunciare un festino, un incontro o altri eventi dei quali non si vuole restare all’oscuro. Adesso, sostiene la giovane autrice, si sta già passando alla fase opposta: tanta è l’abitudine al contatto online, che è sorta e si sta diffondendo una paura di essere inclusi fisicamente, di contatto fisico anziché digitale, di rapportarsi concretamente con il mondo reale. Insomma, moltissimi di noi sarebbero talmente abituati ai messaggini e ai rapporti virtuali che si trovano imbarazzati dal contatto fisico, diventano ansiosi e non sanno più come comportarsi sia in pubblico sia in privato (Scrive la giovane autrice: L’unica realtà che abbiamo mai conosciuto è un mondo in cui possiamo trovare tutto quello che ci serve senza contatti con altri esseri umani: self-service senza passare per la cassa, app di consegna a domicilio, pornografia online, insegnamento online, comunità online). Eccovi la traduzione delle prime pagine dell’articolo, che trovate per intero nell’originale cliccando qui.

Che ne è stato del FOMO?
Ora ci fa più paura partecipare che restare tagliati fuori

Quando si parla dei danni creati oggi dai media sociali, uno dei primi problemi che balzano all’attenzione è quello del FOMO, la paura di restare tagliati fuori. Di scorrere Instagram e vedere i nostri amici che si stanno divertaendo a un festino al quale non siamo stati invitati. Di aprire Snapchat e trovare i Bitmojis di tutti su Snap Map eccetto noi.  Questa paura costante di perdersi qualcosa, ci dicono, è un’importante causa di ansietà e depressione per la Generazione Z.

Ma io non credo che questo sia vero ancora oggi.

Vedo invece sempre più spesso il contrario. I social non creano nella Generazione Z il timore di perdersi qualcosa di reale e concreto; ci fanno invece desiderare di restarne fuori. Vogliamo evitare il rischio, il respingimento, la fatica e l’energia imposti dal mondo reale. Il nostro problema più grande non è il timore di non esserci. E’ invece il timore di partecipare.

Considerate quanti sono i giovani che hanno paura di fare cose di ogni giorno. Non intendo la paura di imparare a guidare, o di trovare un lavoro; intendo paura di ordinare al ristorante. Non riescono a entrare in un caffè. Non vogliono aprire la porta per una consegna.  Sullo hashtag #socialanxiety di TikTok, che ha circa 3 miliardi di contatti, i giovani condividono i sintomi, descrivono ansietà paralizzanti, registrano perfino attacchi di panico in pubblico. Una TikToker inglese ospita una serie chiamata  “Fare cose che ti fanno paura per dimostrare che si possono fare” e mostra video in cui affronta drammi come entrare in un ascensore, chiedere qualcosa in un supermercato, e chiedere indicazioni per un luogo. E’ bello vedere una persona che cerca di combattere l’ansietà, ma ciò che preoccupa è quanto popolari siano questi video e quanto numerosi siano gli utenti che hanno le stesse paure. E intanto dei forum come r/socialanxiety (che ha più di 400.000 membri) sono pieni di teenagers e giovani adulti che ammettono di essere intimoriti dal mondo reale.  Si sento molto più a loro agio nell’Internet.

Molti giovani si spaventano anche a fare una telefonata e cercano di evitarlo quando possibile. Uno studio dell’anno scorso riferisce che il 90% dei Generazione Z hanno detto di provare ansia parlando al telefono. Per non menzionare il numero infinito di TokTok e di tweet scritti da giovani che parlano di “ansietà da telefono”, che si scrivono parole prima di parlare, o che si filmano mentre uno squillo di telefono li manda nel panico.

Per tutti i social circola anche una crescente celebrazione del restare fuori. La frase JOMO (Joy of Missimg Out, Gioia del Restare Fuori) sta diffondendosi, insieme a continui TikTok, tweet e memi sul sollievo di cancellare progetti. Noi giovani diciamo che si tratta di procurarsi benessere, ma io non sarei tanto sicura. Lo chiamiamo auto-protezione, ma forse è solo perché suona meglio di auto-isolamento.  Fingiamo che sia solo un rilassarsi (proteggere la propria pace!) piuttosto che battere in ritirata. Restare fuori fa bene alla nostra salute mentale, ci diciamo. La parte interna di noi si sente meglio.

Forse il FOMO sarà ancora la principale preoccupazione per i Millennial, i cui primi contratti con i social risalgono di solito a quando avevano intorno ai vent’anni. Ma non credo che sia molto importante per la nostra generazione di nativi digitali. Noi che siamo i primi ad aver avuto un’infanzia basata sul telefonino, che abbiamo vissuto gli anni della formazione nel mezzo di una pandemia, che abbiamo avuto meno contatti faccia a faccia di ognii altra generazione della storia. L’unica realtà che abbiamo mai conosciuto è un mondo in cui possiamo trovare tutto quello che ci serve senza contatti con altri esseri umani: self-service senza passare per la cassa, app di consegna a domicilio, pornografia online, insegnamento online, comunità online. E se tutto questo ci rendesse ansiosi? C’è una app anche per quel caso.

Molti di noi passavano ore ogni giorno sui social anche prima dei tredici anni. Erano piattaforme studiate per renderci coscienti di noi stessi: che aspetto avevamo, come ci presentavamo, quali parti di noi volevamo mostrare. Ispezionavamo ogni centimetro della nostra faccia con filtri e app di modifica. Scrutinavamo la nostra postura e il modo di parlare in ogni foto su Instagram e ogni storia su Snapchat. Esaminavamo ogni parola dei nostri tweet e degli aggiornamenti di status. Con le risposte immediate su ogni parte di noi stessi abbiamo imparato a eseguire e gestire ogni cosa alla perfezione. Abbiamo cominciato ad amare i nostri piccoli mondi di controllo: con essi potevamo provare e riprovare qualsiasi DM amoroso (Direct Message, il termine usato su Instagram per i messaggini, nota del traduttore), prima di inviarlo. Possiamo correggere ogni mail con ChatGPT. Possiamo trovare gli angoli e le luci perfette prima di mostrare le nostre facce al mondo. Invece la vita reale, con le sue goffe conversazioni, le sue disordinate relazioni,  avviene in diretta.   E’ reale. E’ terrificante. Molto meglio restare tagliati fuori.

La definizione stessa di FOMO comincia a cambiare. Per i Millennial, FOMO significava paura di restare tagliati fuori da ciò che accadeva nel mondo reale: esperienze fisiche ed eventi che le persone si godevano. Ora sembra che la parola si riferisca a perdere quello che sta accadendo online: notifiche, memi, chat di gruppo, tendenze TikTok, storie Snapchat. Per la Generazione Z, FOMO non è un male per i social: è una motivazione per usarli.  E’ ciò che intrappola i giovani dentro TikTok e Instagram. Hanno paura di restare tagliati fuori dai media stessi.

Qualcuno dirà che queste sono esagerazioni, forse addirittura forme di panico morale. Quando le vecchie generazioni cercano di parlare di queste cose sono spesso accusate di disprezzare la Generazione Z o di aver perso i contatti.  Se ne parlano i giovani, si sentono dire che non c’è nulla di nuovo o sono accusati di voler parlare a nome di tutti. E naturalmente queste considerazioni non sono vere per ogni membro della Generazione Z. Ma dobbiamo parlare con onestà di quelli per i quali sono vere. I bambini che si chiudono nelle proprie stanze. I giovani  di meno di tredici anni che si trovano meglio a guardare gli YouTuber che a giocare con gli amici. I venticinquenni che hanno il terrore di parlare al telefono. I genitori ci dicono che queste cose stanno accadendo. Gli insegnanti e i professori stanno suonando l’allarme. I terapisti ci stanno riferendo queste cose. I datori di lavoro stanno disperatamente cercando di fare qualcosa. Non possiamo far finta che sia tutto normale, o che non ci sia niente di nuovo.

A me la cosa sembra profondamente nuova. Tanto nuova che non riesco a capire che senso abbia. Quandoi mai abbiamo avuto una generazione così a suo agio nei rapporti online eppure così sperduta nei rapporti diretti? Quando mai abbiamo avuto dei giovani così menomati da forme di ansia sociale eppure così capaci di parlarne online a milioni di estranei? Giovani che possono mettere in rete i selfie visibili in tutto il mondo eppure non riescono a guardarsi negli occhi? Che trovano del tutto normale diffondere online le loro facce, pensieri e vite private ma si sentono salire il cuore in gola se qualcuno li saluta per la strada? Che dicono di sentirsi profondamente soli eppure rifuggono da ogni contatto umano?

E’ un fenomeno che dobbiamo prendere sul serio. Ci sono dei giovani i cui istinti naturali (istinti tipicamente esuberanti per gli adolescenti, come la spinta ad esplorare, a connettersi, a rischiare, a essere indipendenti) sono stati intorpiditi. Dei giovani che una volta potevano stare svegli tutta la notte a chiacchierare al telefono sono adesso terrorizzati se parte una suoneria. Giovani impazienti di svignarsela con gli amici adesso hanno paura di mettersi d’accordo per un incontro. Giovani che pregavano i genitori di lasciare gli amici restare a dormire oggi usano un Generatore di Scuse AI per cancellare gli impegni senza sentirsi in colpa. Questa non è normale ansia d’adolescente. Questa è la tragedia di una generazione.  Di fronte a numeri così grandi di giovani impauriti dai rapporti sociali, con diagnosi di malattia mentale da ansia, timorosi di sentire un’altra voce umana al telefono, io penso che invocare un cambiamento drastico sia la sola cosa umana da fare. Non significa farsi prendere da panico sociale senza solide ragioni.

Non è troppo tardi per cambiare direzione. Prima dobbiamo riconoscere quanto grave e senza precedenti sia la situazione. Per i gioovani che ne soffrono, ciò significa guardare in faccia le loro ansie. Non sorridere se ci si trova incapaci di aprire la porta ma prendere la cosa sul serio e cercare di vincere l’ansia. Non fingere di esser più felici nella propria stanza ma essere brutalmente onesti con se stessi. Non fare dell’ansia sociale una parte divertente della propria identità sociale, ma impegnarsi per un cambiamento.

L’articolo continua per un altro paio di pagine, e lo trovate per intero cliccando qui.

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