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Solstizio D’inverno

Solstizio d’inverno

Domani 21 dicembre ci sarà il solstizio d’inverno, cari amici. Quella di oggi è la notte più lunga, la vera mezzanotte dell’anno come ha scritto nel 1611 il poeta inglese John Donne. Vi ricopio qui sotto, dal sito poetryfoundation.org, il testo competo di quella celeberrima e bellissima poesia, e prima ancora metto la traduzione italiana delle prime due strofe, sperando che inducano molti ad andare a leggere l’originale (Ma siccome so che pochi lo faranno, vi metto intento la traduzione di quattro versi dall’ultima strofe:

Voi, amanti, pei quali il minor sole
a quest’ora è passato in Capricorno
per succhiarne voluttà nuova e donarla a voi,
o voi tutti, godetevi l’estate.

Intanto da noi a Venezia il Cielo ha concesso tre bellissime giornate di sole dicembrino, che io personalmente ho celebrato andando in giro per i rii e per la laguna sulla mia barchetta Schia. Questa mattina c’era un inizio di nebbietta, che forse si puo intravvedere nella foto del Bacino che metto qui sopra.

NOTTURNO SOPRA IL GIORNO DI SANTA LUCIA,
CHE È IL PIÙ BREVE DELL’ANNO

Questa è la mezzanotte dell’anno e lo è del giorno
di Lucia, che per sole sette ore
solleva la sua maschera.
Il sole è esausto e ora le sue fiasche
spremono tenui sprazzi, nessun raggio costante.
Tutta la linfa del mondo è caduta.
L’universale balsamo bevve la terra idropica;
là, quasi a piè del letto, s’è ritratta la vita
morta e interrata. Eppure tutto ciò sembra ridere
appetto a me che sono il suo epitaffio.

Dunque studiatemi, voi che sarete amanti
in altro mondo, un’altra primavera:
sono ogni cosa morta onde operò l’amore
nuova alchimia. Perché una quintessenza
distillò la sua arte anche dal nulla,
da opache privazioni e da scarne vuotezze.
Mi distrusse. E ora mi rigenerano
assenza, buio, morte, le cose che non sono.

A Nocturnal upon St. Lucy’s Day

‘Tis the year’s midnight, and it is the day’s,
Lucy’s, who scarce seven hours herself unmasks;
         The sun is spent, and now his flasks
         Send forth light squibs, no constant rays;
                The world’s whole sap is sunk;
The general balm th’ hydroptic earth hath drunk,
Whither, as to the bed’s feet, life is shrunk,
Dead and interr’d; yet all these seem to laugh,
Compar’d with me, who am their epitaph.
Study me then, you who shall lovers be
At the next world, that is, at the next spring;
         For I am every dead thing,
         In whom Love wrought new alchemy.
                For his art did express
A quintessence even from nothingness,
From dull privations, and lean emptiness;
He ruin’d me, and I am re-begot
Of absence, darkness, death: things which are not.
All others, from all things, draw all that’s good,
Life, soul, form, spirit, whence they being have;
         I, by Love’s limbec, am the grave
         Of all that’s nothing. Oft a flood
                Have we two wept, and so
Drown’d the whole world, us two; oft did we grow
To be two chaoses, when we did show
Care to aught else; and often absences
Withdrew our souls, and made us carcasses.
But I am by her death (which word wrongs her)
Of the first nothing the elixir grown;
         Were I a man, that I were one
         I needs must know; I should prefer,
                If I were any beast,
Some ends, some means; yea plants, yea stones detest,
And love; all, all some properties invest;
If I an ordinary nothing were,
As shadow, a light and body must be here.
But I am none; nor will my sun renew.
You lovers, for whose sake the lesser sun
         At this time to the Goat is run
         To fetch new lust, and give it you,
                Enjoy your summer all;
Since she enjoys her long night’s festival,
Let me prepare towards her, and let me call
This hour her vigil, and her eve, since this
Both the year’s, and the day’s deep midnight is.
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