PENSIERI PER IL DOPO
Di fronte a una Venezia deserta siamo, naturalmente, tutti desolati. Ma non possiamo fare a meno di percepire quanto distruttivi siano stati per la città i trenta milioni di turisti l’anno, le ignobili file di bancarelle lungo le rive e davanti a chiese e palazzi. Non possiamo non capire che la perenne agitazione delle acque dei canali, del Bacino, della Laguna, ne offuscava e cancellava il fascino. Da quanti anni non vedevamo case e ponti specchiarsi sull’acqua tranquilla?
Tutti i veneziani, e più ancora i foresti, capiscono che quel tipo di turismo stava uccidendo la città. Perfino gli economisti, per freddi e calcolatori che volessero essere, ammettevano che anche dal loro punto di vista quel sistema era fragile (è crollato di colpo), fatto di posti di lavoro precari, poco specializzati, male pagati. Solo i proprietari di organizzazioni turistiche e di immobili in città ne traevano vantaggio.
Eppure… eppure tutto fa pensare che passata la bufera le cose potrebbero ritornare come prima. Le calli intasate, le bancarelle a muraglia, le acque agitate, i titoli di studio scacciati a Milano o all’estero. A questo proposito riporto qui un bell’articolo dell’urbanista Paola Somma, comparso su emergenza cultura di oggi 26 marzo, del quale ricopio il capoverso finale:
L’assunto da cui parte il sindaco nelle sue esternazioni è la convinzione che “possiamo vivere anche in presenza del coronavirus… ma nel frattempo ci riorganizziamo”. Quello da cui dovremmo partire noi è che forse sopravviveremo al virus, ma se non riusciremo ad organizzarci rapidamente perché tutto non torni “come prima, peggio di prima”, quando gli invasori sbarcheranno per l’attacco finale e saranno accolti a braccia aperte dalla quinta colonna che qui lavora per loro, piazza san Marco deserta resterà il nostro ultimo ricordo di una città perduta. Il che potrebbe essere considerato un “motivo valido” per andare a rivederla.
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Il giro lungo di Checco Canal
Un veneziano all’estero: andata, soggiorno e ritorno.
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